caro Daniele,
penso che la ‘freddezza’, di cui spesso si parla in merito di una certa famiglia di scritture, che poi famiglia neanche è, sia una categoria abbastanza povera e tutto sommato prestata all’ideologia o culto di una sorgività mitopoetica che finge naturalezza là dove non può esserci che artificio e letterarietà, e che misura “calore” e “intensità” di un testo a partire da presupposti del tutto idiosincratici, quando non ingenuamente letterali. C’è sempre (sempre) intensità là dove è in atto, nel testo, un tentativo di conoscenza, e non invece un’estetizzazione di contenuti e conoscenze già date, siano esse esperenziali, sentimentali, teorico-critiche, è indifferente. Sono d’accordo con ciò che dici, dunque, anche in merito alla “liricità” (servirebbero ulteriori virgolette), che è poi una categoria o concetto che tendo a non utilizzare perché mi sembra anch’essa prestata a dualismi e ipostatizzazioni che nessun apporto concreto forniscono alla comprensione e conoscenza di un testo. mi premeva allora mettere l’accento sulla questione “formale” perché mi pare che la tua scrittura, come poche altre (almeno guardando all’attuale panorama degli “esordienti”) ponga con forza alcune questioni che di solito si tende ad ignorare, soprattutto quella tra ‘autogenesi’, per dir così, della forma, e sua interrogazione necessitante: al di là di ogni spaccio di ‘libertà’ destoricizzate, così come di ogni illusione che forma e contenuto siano elementi reciprocamente indifferenti.
Un abbraccio,
f.