proprio ieri, nel post qui accanto, Attolico invitava i ‘giovani poeti’ a imparare qualcosa da Adriano Spatola. Bellomi, a differenza di molti suoi coetanei dediti a un ‘innamoramento’ di ritorno, la lezione spatoliana, specie in merito a quella che con Pareyson possiamo chiamare “formatività” (“Solo quando l’invenzione del modo di fare è simultanea al fare si hanno le condizioni per una qualsiasi formazione: la formazione deve inventare la propria regola nell’atto che, eseguendo, già l’applica”, scriveva negli anni ’50), l’ha appresa benissimo. Sa che la poesia *conosce* anche e innanzitutto a partire dalle proprie strutture formative, e che queste non possono ridursi a momento formalistico, ma sono anzi, anche in senso maieutico, il primo e indispensabile ‘momento contenutistico’. Dalla selezione qui presentata questo elemento non è chiaro fino in fondo, giacché non si riesce a vedere come Bellomi, stimolata una forma-contenuto, sappia poi necessitarla in una riproposizione della stessa, o meglio dei vincoli della stessa – dei “diversi accorgimenti”, quasi à la Spatola appunto – riuscendo contemporaneamente a tenersi lontano sia dai pericoli del serialismo in senso stretto (nessun “rejectio fati”, per dirla con Gunther Anders) sia dalla allegra proposta di una ‘unicità’ e irreplicabilità e inverificabilità testuale che, se impugnata con serenità e senza sgomento, può divenire in un istante un vero paradiso di irresponsabilità testuale.
Leggo i suoi testi ormai da un annetto; ed è sempre estremamente rigenerante e istruttivo. Grazie a Luciano per averli proposti anche qui,
e un saluto a tutti,
f.